Graditi in particolare resoconti di esperienze sul campo

Moderatore: Edilclima
Gli esperti direbbero che intanto non fare niente, poi se c'è scompenso agisci.mat ha scritto:Nessuno?
Mi trovo appunto nella situazione che c'è scompenso, sul quale il progettista che ha riqualificato non è intervenuto...SuperP ha scritto:Gli esperti direbbero che intanto non fare niente, poi se c'è scompenso agisci.
Già fatto; peccato che loro siano, come dire, necessariamente di parte?SuperP ha scritto:Alcuni ti consiglierebbero di leggere il penultimo numero della rivista caleffi.
Paolo, evidentemente tu l'ultimo numero della rivista non l'hai letto, e probabilmente neanche le altre loro dispense. Riprova e controllaSuperP ha scritto:E pompa a portata variabile e autoflow assieme non sono l'accoppiata del secolo.
No, e anche su quelli poco complessi, fidati. Infatti è per questo che mi hanno interpellatogararic ha scritto:mettere pompe a portata variabile in impianti esistenti, magari complessi . . . siam tranquilli che tutto gira regolarmente ?
No, la situazione è migliore di quella con impianto sbilanciato (meno sovraportata sui rami favoriti), lo dice qualsiasi trattazione in merito; e se ti fai due ragionamenti considerando le leggi che governano portata e prevalenza, capisci che hanno ragione. Nota: la situazione è migliore, ma non idilliaca.arkanoid ha scritto:Se monti delle valvole a posizione fissa su un impianto a portata variabile secondo me fai solo un danno.
Con quelle a preregolazione magari (non sempre) sì, con le altre no. Nel senso che se le montanti non sono equilibrate tra loro, apriti cielo. Circolava un bel video proprio sull'homepage di Caleffi, al riguardo; tra l'altro, lì invece degli autoflow fanno vedere proprio della valvole tipo le Honeywell che citavo prima. Che per inciso, forse non si era capito, sono dei dispositivi di bilanciamento dinamico al pari degli autoflow.arkanoid ha scritto:Se hai le termostatiche sei a posto.
Mai utilizzate (purtroppo). Però a quanto ne so le Caleffi Autoflow garantiscono la costanza della portata mentre le V5001 Honey, che sono le equivalenti dei regolatori di pressione differenziale Caleffi, garantiscono la costanza della prevalenza tra mandata e ritorno in una sezione del circuito al variare della portata. O, in parole povere, i primi sono dei stabilizzatori di portata al variare della prevalenza e i secondi sono dei stabilizzatori di pressione al variare della portata. Quindi, nel tuo caso, e sulla carta, io farei installare lo stabilizzatore di pressione giacché hai un impianto a portata variabile per via delle valvole termostatiche.mat ha scritto:Circolava un bel video proprio sull'homepage di Caleffi, al riguardo; tra l'altro, lì invece degli autoflow fanno vedere proprio della valvole tipo le Honeywell che citavo prima. Che per inciso, forse non si era capito, sono dei dispositivi di bilanciamento dinamico al pari degli autoflow.
No, quello che volevo sapere io è, se qualcuno ci ha avuto a che fare sul campo, se sono preferibili le une o gli altri e perchè.
vediamo se anche a te ha il coraggio di scrivere quel che scrive a me.Ronin ha scritto: negli impianti a portata variabile sono contrari allo scopo voluto.
Ronin ha scritto:chi? non ho capito...
mat ha scritto:Paolo, evidentemente tu l'ultimo numero della rivista non l'hai letto, e probabilmente neanche le altre loro dispense. Riprova e controllaSuperP ha scritto:E pompa a portata variabile e autoflow assieme non sono l'accoppiata del secolo.![]()
Sì, ce l'hoSuperP ha scritto:vediamo se anche a te ha il coraggio di scrivere quel che scrive a me.
così ricicli pure il nome proprio...mat ha scritto: Sì, ce l'ho
No no, guarda bene: in figura 28, pagina 36 della dispensa è riportato un caso di ventilo con valvole a due vie modulanti. Oppure guarda la raccolta delle applicazioni, la numero 11.Mimmo_510859D ha scritto: C'erano sì diversi esempi ma tutti riconducibili ad impianti a portata costante (autoflow sulle colonne) o ad impianti a portata variabile ad impulsi (autoflow sui terminali).
Scusate ma l'autoflow è UNO STABILIZZATORE DI PORTATA, per definizione. Forse non è molto chiaro il principio i base. In ogni caso, per farla breve, all'interno del range di funzionamento (tipicamente 22-220 kPa) della pressione differenziale tra monte e valle del dispositivo, la portata che passa è costante (con un minimo di tolleranza). Quindi, se metto un autoflow alla base di una colonna (con una pompa a giri fissi o variabile non cambia il ragionamento) su quella colonna passerà sempre la portata che decide l'autoflow. Non è un ostabilizzatore di pressione. Se tutte le termostatiche di quella colonna chiudono e quindi la portata richiesta è inferiore a quella di taratura, l'autoflow darà quella portata, probabilmente inferiore a quella di taratura dell'autoflow. In questo caso si comporterà come una valvola completamente aperta, fissa.Ugo ha scritto:Gli autoflow sono dei REGOLATORI DI PRESSIONE (Caleffi le chiama regolatori di portata per motivi di comprensione dal momento che il fine ultimo è di regolare la portata).
è quello che dico anch'io (ho letto la dispensa http://www.caleffi.it/it_IT/caleffi/Fil ... 011_it.pdf molto velocemente, sono usciti gli atti di due convegni...).markciccio ha scritto:Scusate ma l'autoflow è UNO STABILIZZATORE DI PORTATA... all'interno del range ... su quella colonna passerà sempre la portata che decide l'autoflow
Non so se ho capito bene ma quello che scrivi è riferito a un impianto dotato di valvole a due vie on-off o in generale.Ronin ha scritto:il sistema caleffi (con autoflow) è totalmente diverso, perché ognuno dei rami che è dotato di un autoflow lavora soltanto in due modalità: completamente chiuso, oppure alla portata nominale dell'autoflow. ciò non corrisponde affatto a quello che normalmente si intende per "portata variabile" (=sistema dove ogni terminale può variare la propria richiesta di portata in modo proporzionale a seconda della richiesta di energia in ambiente) e pur comportando un risparmio di energia rispetto alla situazione di portata costante, una gestione del genere comporta comunque un eccesso di pompaggio (anche con pompe a portata variabile), oltre ai problemi di pendolazione continua tra erogazione nominale e fermo (che possono essere avvertiti o meno a seconda della criticità dell'applicazione, e dell'inerzia del terminale stesso).
In altre parole facendo lavorare l'autoflow fuori dal suo normale campo di azione che, poi, dovrebbe essere il motivo per cui è stato inventando. E questo punto mi chiedo... cosa lo metto a fare un tale dispositivo?markciccio ha scritto:Non so se ho capito bene ma quello che scrivi è riferito a un impianto dotato di valvole a due vie on-off o in generale.
Comunque l'autoflow può essere visto come un "limitatore" di portata, quella nominale di targa. Però se la portata nel ramo dove viene inserito l'autoflow non arriva a quella nominale (perchè c'è per esempio una valvola a due vie parzialmente aperta), l'autoflow rimane completamente aperto (dando una perdita di carico come se fosse una valvola con un passaggio fisso, tipo un foro calibrato), fornendo la portata che "deciderà" la valvola a due vie modulante. Quindi non è vero che lavora con due portate, quella nulla e quella massima ma ha un campo di lavoro anche sotto alla portata nominale facendo in modo di non superare mai quel valore. Poi magari si parlava del caso particolare e ho capito male.
Meglio uno stabilizzatore di pressioneIn ogni caso forse vado un po' a ripetere quanto avete già scritto però in caso di impianto classico degli anni '60 a colonne montanti con le valvole termostatiche su ogni radiatore, l'uso dell'autoflow su ogni colonna secondo me può dare una buona base per un facile bilanciamento delle portate (giusto quello, però) ma la soluzione ottimale è l'utilizzo di regolatori di pressione differenziale. Questi garantiscono che in ogni istante il delta p su ogni colonna è sempre lo stesso e hanno anche una funzione di bilanciamento. Tutto questo viene spiegato sulla rivista Idraulica Caleffi a pagina 14:
http://www.caleffi.it/it_IT/caleffi/Det ... _44_it.pdf
in cui si può leggere questa nota:
Infatti in questi casi l'autoflow non risolve tutti i problemi, anzi. Meglio i regolatori di pressione differenziale messi sulle colonne, che bilanciano e contemporaneamente creano le migliori condizioni per far lavorare le valvole termostatiche. Con i regolatori di pressione, una volta capito come funzionano (che non è per niente intuitivo) risolvi. Le termostatiche non fischiano (la pressione differenziale in eccesso sulla valvola se la "mangia" il regolatore), il circolatore di centrale (elettronico, mai a giri fissi altrimenti il sistema non funziona) riesce a garantire la corretta circolazione del fluido vettore. Io parlo di termostatiche perchè è il caso più comune però vale con qualunque valvola modulante sulla portata.Mimmo_510859D ha scritto: In altre parole facendo lavorare l'autoflow fuori dal suo normale campo di azione che, poi, dovrebbe essere il motivo per cui è stato inventando. E questo punto mi chiedo... cosa lo metto a fare un tale dispositivo?
Come hai anche detto tu
Meglio uno stabilizzatore di pressione
Se intendi che l'autoflow sotto la pressione differenziale minima di lavoro non stabilizza la portata, è ovviamente vero. Si ha una riduzione del flusso solo parziale come se fosse un passaggio fisso. Sta al progettista fare in modo di avere sempre, anche nel ramo più sfavorito, una pressione differenziale minima superiore ai 22kPa. Altrimenti se non sono sicuro di questa cosa l'autoflow ha una utilità limitata.Ugo ha scritto:Pressappoco abbiamo tutti capito a cosa servono gli autoflow. Impediscono gli aumenti di portata entro il range di azione per cui sono state costruite.
Il guaio è che però impediscono anche la diminuzione del flusso nella misura in cui, al momento della taratura gli sia stato assegnata una pressione differenziale di partenza. Voglio dire, se al momento della taratura avrò fatto in modo tale da assegnare una pdc di partenza per bilanciare il ramo, fino a che la diminuzione di flusso dovuta alla chiusura di una modulante non raggiunge certi valori, l'autoflow mi restituisce quello che la modulante toglie e ne invalida l'effetto ai fini della riduzione di flusso.
Vedere infatti la curva di regolazione sulle dispense. Mimmo domanda a cosa serve far lavorare l'autoflow fuori dal campo di lavoro? Ma non lavora fuori dal campo di lavoro, sui rami che non stanno regolando: e sono proprio quelli su cui serve intervenire per evitare che si ciuccino troppa portata, o troppo poca. Sui rami che invece stanno regolando, l'autoflow "va dietro" al dispositivo di regolazione, come avevo già detto in precedente post.markciccio ha scritto:Comunque l'autoflow può essere visto come un "limitatore" di portata, quella nominale di targa. Però se la portata nel ramo dove viene inserito l'autoflow non arriva a quella nominale (perchè c'è per esempio una valvola a due vie parzialmente aperta), l'autoflow rimane completamente aperto (dando una perdita di carico come se fosse una valvola con un passaggio fisso, tipo un foro calibrato), fornendo la portata che "deciderà" la valvola a due vie modulante. Quindi non è vero che lavora con due portate, quella nulla e quella massima ma ha un campo di lavoro anche sotto alla portata nominale facendo in modo di non superare mai quel valore. Poi magari si parlava del caso particolare e ho capito male.
quando la valvola è in chiusura aumenta la perdita di carico, non la pressione differenziale: la pressione differenziale vista dall'autoflow diminuisce, perché la caduta sulla valvola a due vie aumenta (la pompa ancora non si è adeguata, quindi ho una prevalenza della pompa uguale a prima e un aumento di perdita di carico sul ramo, ovvero una pressione residua più bassa ai capi dell'autoflow, che si trova in serie alla perdita di carico della valvola).mat ha scritto:quando la valvola è in chiusura, e come dice la pressione ovviamente aumenta, l'autoflow non apre, al contrario strozza il suo orifizio per evitare che passi maggior portata di quanto è la sua taratura. Dunque lavora nello stesso verso della valvola: l'autoflow strozza per mantenere costante la portata, la valvola per ridurla. L'effetto complessivo è appunto la riduzione di portata.
SuperP ha scritto:pompa a portata variabile e autoflow assieme non sono l'accoppiata del secolo.
Mi riferivo alla pressione differenziale ai capi del circuito derivato (il circuito del singolo terminale su cui è posta la due vie). Diciamo anche che perdita di carico e pressione differenziale quanto a significato sono sinonimi eh.Ronin ha scritto:quando la valvola è in chiusura aumenta la perdita di carico, non la pressione differenziale: la pressione differenziale vista dall'autoflow diminuisce,
Ti sei espresso male spero... se la pompa non si è ancora adeguata, la sua prevalenza è aumentata, essendosi spostato il suo punto di funzionamento in ragione dell'aumento di pendenza della curva caratteristica del circuito. Di conseguenza la portata è già diminuita. Esattamente quello che succederebbe se avessi una pompa a portata costante. La pompa elettronica poi riduce i giri per riportarsi alla prevalenza precedente (regolazione a pressione costante) o addirittura ridurla (regolazione a portata proporzionale, detta anche "rischiosa"Ronin ha scritto:la pressione differenziale vista dall'autoflow diminuisce, perché la caduta sulla valvola a due vie aumenta (la pompa ancora non si è adeguata, quindi ho una prevalenza della pompa uguale a prima e un aumento di perdita di carico sul ramo, ovvero una pressione residua più bassa ai capi dell'autoflow, che si trova in serie alla perdita di carico della valvola).
certamente si tratta sempre di differenze di pressione; è che poi finiamo per fare confusione, perché si tratta di differenze di pressione tra punti diversi del circuito.mat ha scritto:Diciamo anche che perdita di carico e pressione differenziale quanto a significato sono sinonimi eh.
Sono d'accordo sulla prima parte: possiamo dire che l'autoflow nel momento in cui la relativa valvola 2 vie chiude si oppone al cambiamento di portata che la suddetta vorrebbe generare, fintanto che non arriva a totale apertura del suo otturatore (quando la pressione ai suoi capi arriva all'estremo inferiore del suo campo di lavoro); dopodichè si comporta come una qualsiasi altra resistenza fissa del circuito e la valvola.Ugo ha scritto:Nel campo di lavoro dell'autoflow:
pD ai capi del circuito = pD valvola di regolazione + pD autoflow = costante - l'aumento di pD ai capi della regolatrice è compensato dalla diminuizone di pD ai capi dell'autoflow - la luce di passaggio offerta dalla valvola regolatrice si riduce mentre la luce di passaggio offerta dall'autoflow aumenta - la valvola di regolazione non ha alcun effetto sul circuito fino a che l'autoflow non esce dal suo campo di regolazione. Per contro la valvola effettua la chiusura molto rapidamente dal momento che l'autoflow esce dal campo di regolazione.
Nel campo di regolazione dell'autoflow la parziale chiusura della valvola non porta alcun effetto neanche sugli altri rami dell'impianto.
Giusta l'osservazione di Ronin sul pendolamento e sulle più brusche variazioni di portata, infatti in questo caso la valvola di regolazione (modulante) tende a comportarsi come una valvola a solenoide (chiusura rapida tendente all'on-off).
Questo effetto perverso dall'autoflow è parzialmente evitabile con una regolazione del suo set point prossimo al suo valore minimo di pD che però spesso non si concilia con la necessità di bilanciamento iniziale dell'impianto in condizioni stazionarie.